29 Settembre 2021

Media audiovisivi e propaganda nel secolo breve

L’avvento del cinema nel mondo della comunicazione del XX secolo segna una cesura fortissima rispetto al passato prossimo, inaugurando quella che è stata variamente chiamata civiltà delle immagini, iconosfera, società dello spettacolo; con riferimento al fatto che il vedere, non più il leggere, diventa progressivamente la nostra principale modalità per acquisire informazioni su ciò  di cui non possiamo avere esperienza diretta.

Il cinema produce più di ogni altra forma di espressione umana precedente quello che Roland Barthes ha chiamato “effetto di reale”, dando a chi lo guarda l’illusione che nelle cose rappresentate, per il solo fatto di essere state filmate, risieda una quantità di “verità” superiore a quella di qualsiasi altra forma di comunicazione/rappresentazione. Per queste ragioni, il cinema inizia quasi da subito (cioè da quando i progressi tecnici gliene dischiudono la possibilità) a “rappresentare” il presente e contemporaneamente a reinventare o rendere visibile il passato.

Questa sua efficacia nel mettere  in scena rappresentazioni credibili e di facile fruizione e comprensione  unita alla capacità delle immagini in movimento di raggiungere quello  che Walter Benjamin  - nel celebre saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” – chiamò il nostro inconscio ottico - cioè uno stato di ricezione fluttuante non mediato dai filtri coscienti, attirò molto presto l’interesse della politica e in particolare dei totalitarismi, che più delle democrazie mature europee sentivano il bisogno di legittimare il proprio potere e le loro ideologie, più o meno palesemente aberranti, agli occhi della collettività.

Per queste ragioni notiamo come l’attenzione  dei regimi nei confronti della produzione cinematografica sia stata da subito molto forte e continua, sino al controllo maniacale esercitato da Stalin che pare visionasse personalmente tutti i film prodotti in Unione Sovietica prima di consentirne l’uscita.

“Il cinema è l’arte più importante per noi”, “la cinematografia è l’arma più forte”; queste due frasi così simili sono attribuite a due personalità antipodali, ideologicamente parlando, come Lenin e Mussolini, entrambe vicine nella necessità di produrre e creare consenso attraverso la persuasione, ancor prima e indipendentemente dall'affettiva convinzione della popolazione. Altrettanto interesse susciterà il cinema per Hitler e per il nazismo, che ne faranno un uso capillare anche per instillare nei tedeschi la condivisione delle peggiori conseguenze della teoria razziale: eliminazione sistematica della diversità, eutanasia, eugenetica, selezione razziale.

A parte il caso dei totalitarismi, il cinema comunque (prima seguito e poi sostituito, anche in questo caso,  non appena sarà tecnicamente possibile, dalla televisione) diviene sicuramente il più massivo ed emblematico strumento di propaganda del XX secolo, non certamente disdegnato dalle democrazie che praticano la propaganda cinematografica nella versione meno appariscente ma altrettanto illiberale della censura parziale o totale delle opere in circolazione piuttosto che della realizzazione diretta di opere arbitrarie e parziali che pure, in caso di guerra (calda o fredda che fosse), verranno abbondantemente realizzate.

Nel corso verranno analizzati alcuni momenti cruciali della propaganda cinematografica del XX secolo, dai rari momenti in cui essa, come nel caso dei grandi della cinematografia sovietica degli anni Venti, riuscì a coniugarsi con l’arte cinematografica, agli agghiaccianti documentari nazisti sugli ebrei, passando per le beceraggini dei cinegiornali fascisti senza trascurare la retorica del cinema bellico prodotto in ogni tempo dalle democrazie dell'Occidente.

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