Questa scheda è un approfondimento specifico utile per questi percorsi:
Nel 1922 esce il film Nanuk l’eschimese (Nanook of the North: A Story of Life and Love in the Actual Arctic) primo film del regista americano Robert J. Flaherty. Nanuk è universalmente considerato il primo documentario della storia del cinema, cioè la prima opera, diremmo oggi, di non-fiction. Ma il termine non-fiction, essendo una negazione, acquisisce un significato solo se si conosce ciò che viene negato.
Il verbo fingere viene usato in italiano con un significato impoverito rispetto al corrispettivo verbo latino fingo-fingere che si usava con molti significati: creare, plasmare, inventare, immaginare (“io nel pensier mi fingo…”) mentre nell’italiano corrente lo usiamo esclusivamente con il significato di simulare qualcosa di non vero al fine di farlo credere ad altri. Ma nel cinema e negli audiovisivi il senso naturalmente non può essere questo. Come ci dice l’utilissimo “Dizionario critico e teorico del cinema” di Aumont e Marie: “La finzione è una forma di discorso che fa riferimento a personaggi e azioni che esistono soltanto nell’immaginazione dell’autore[i], e in seguito in quella del lettore/spettatore.” Con il termine fiction sarebbe quindi opportuno riferirsi non tanto a un racconto audiovisivo (per lo più televisivo) a puntate, come facciamo di solito,[ii] ma a qualsiasi narrazione audiovisiva il cui oggetto sia di pura immaginazione. Di conseguenza, con il termine non-fiction ci riferiremo a qualsiasi narrazione audiovisiva il cui oggetto non sia di pura immaginazione. Ma come facciamo a sapere che l’oggetto non è di pura immaginazione? Ovviamente devono essere gli autori a dircelo. Messa così sembra semplice. Ma se poi gli autori non ce lo dicono?
Questo è un episodio molto noto, che potrete trovare raccontato o almeno citato in ogni storia dei media. La sera del 30 ottobre 1938 l’emittente radiofonica USA Cbs trasmetteva in diretta La Guerra dei Mondi, un radiodramma tratto dall’omonimo romanzo di H.G. Wells e diretto dall’allora ventiduenne Orson Welles, diventato in seguito uno dei più grandi registi della storia del cinema. Il programma non stava facendo grandi ascolti così si decise di “Accentuare il più possibile il realismo. Dobbiamo farla più vera, più credibile, con la tecnica dei notiziari radiofonici”. Cioè di usare una tecnica tipica della non-fiction (il giornale radio) per raccontare un’opera di fiction.
Alcune parti della sceneggiatura radiofonica furono interamente riscritte ma a Welles il risultato non sembrava ancora convincente. Non doveva essere una fiction scritta come un notiziario ma sembrare in tutto e per tutto un notiziario! Così, la sera della diretta, un programma di musica da ballo venne interrotto bruscamente per annunciare l’avvistamento di strani fenomeni sul pianeta Marte, seguito da altri annunci, fino a quello che macchine volanti erano atterrate nel New Jersey. La voce allarmata di un inviato irruppe nelle case: “Mio Dio, dall’ombra sta uscendo qualcosa di grigio, che si contorce come un serpente... la folla indietreggia, porto il microfono con me mentre parlo. Sto cercando un punto di osservazione. Vi prego di restare in ascolto…” e così via. Situazioni che nei film di fantascienza abbiamo visto cento volte ma che nel 1938 nessuno aveva mai visto o sentito. Man mano che la trasmissione andava avanti descrivendo effetti sempre più catastrofici dell’invasione, “migliaia di famiglie abbandonarono le proprie case e si rifugiarono nei boschi. Molte caserme della Guardia Nazionale furono prese d’assalto per ottenere dall’esercito maschere antigas. In alcune cittadine del Sud l’intera popolazione si riversò nelle strade a pregare e cantare inni religiosi”, ci racconta Tiziano Bonini in questo bell’articolo sulla rivista “Doppiozero”. Il programma intanto stava aumentando gli ascolti in modo vertiginoso, passando dal consueto 3,6% al 15% di share[iii].
Il passaparola degli ascoltatori e le telefonate ai conoscenti per avvertirli di accendere la radio portarono il numero degli ascoltatori a 6 milioni. Secondo lo studio di uno psicologo che si occupò del caso, di quel pubblico circa un milione e settecentomila presero per vera l’invasione mentre un milione e duecentomila tra questi non solo presero sul serio la trasmissione ma provarono sensazioni di paura o panico. Molti di questi ascoltatori avevano acceso la radio o cambiato canale dopo che il radiodramma era già iniziato e non avevano avuto modo di capire dalla presentazione della puntata che si trattava di fiction, dato che sia la modalità della comunicazione (lo stile da notiziario) che il contesto di essa (una stazione radio che effettivamente trasmetteva anche veri notiziari) non lo indicavano chiaramente.
Nel caso di Orson Welles gli autori del radiodramma avevano “scherzato” con gli spettatori (fra l’altro si trattava della vigilia di Halloween) non dicendo che si trattava di invenzione, ma se oltre a questo ci si spingesse ancora più in là dichiarando esplicitamente che si tratta di fatti reali, come quando prima dell’inizio di un film (di solito horror…) compare il minaccioso cartello “I fatti narrati sono realmente accaduti”?
C’è un caso diventato famoso nella storia del cinema, quello del film The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair (1999 - molto precisa la scheda di Wikipedia, alla quale rimandiamo). Il film si pretendeva composto unicamente da riprese ritrovate, fatte da tre studenti di college prima di scomparire mentre stavano girando un documentario sulle credenze popolari relative alla stregoneria in una cittadina del Maryland. All’inizio del film ci viene spiegato che il materiale che ne fa parte è proposto al pubblico così come è stato trovato, con tutte le sue imperfezioni e lacune. Inutile dire che si tratta di situazioni via via più inquietanti e spaventose e altrettanto inutile (forse) dire che si tratta di una storia completamente inventata. Il lancio del film però puntava tutto sulla veridicità della vicenda, tanto che molti mesi prima era stato messo online un sito che non chiamava il film movie bensì “project”, come se si trattasse di un work in progress che si aggiornava con nuove notizie e fonti sulle ricerche relative ai ragazzi scomparsi e a quello che avevano scoperto. Il sito in effetti fu un elemento determinante nel far credere la storia vera.
Questo metodo di realizzazione di un film viene detto in gergo metodo del found footage, cioè delle immagini di repertorio ritrovate e ricorda molto da vicino la prassi del “manoscritto ritrovato”, molto comune nella narrativa tra il 1700 e il 1800, quando nacquero e si diffusero il novel e il cosiddetto romanzo gotico (vedi scheda su Novel e romance). In molti di questi romanzi gli autori premettevano la dichiarazione di non esserne gli autori bensì di aver semplicemente ritrovato questi testi, spacciandoli per diari, testimonianze, raccolte epistolari.
Nel caso del Blair witch project, oltre al modo in cui il testo[iv] è scritto e al con-testo in cui esso è presentato, diventa fondamentale quella componente che in narratologia si chiama extratestuale, che si riferisce a tutto quello che ruota attorno a un testo per darci certe idee su di esso. Extratesto sono le interviste rilasciate prima del film o certe voci che si sono sparse su di esso, gli articoli di giornale, la comunicazione web, il trailer per un film o la copertina per un libro, e perfino il merchandising collegato al nostro testo.
Vediamo quindi come nonostante sia teoricamente piuttosto semplice dare una definizione di fiction e di non-fiction, quando andiamo a guardare un po’ meglio tra le mille pratiche di comunicazione (audiovisive e non) che caratterizzano il comportamento umano, non solo nel nostro tempo, dobbiamo avere una certa perizia per destreggiarci correttamente tra testo, contesto ed extratesto, al fine di stabilire l’effettivo grado di finzione di una comunicazione.
A partire dagli anni Novanta del Novecento poi, la televisione ha contribuito moltissimo a complicare il quadro producendo una quantità di format ispirati alla realtà. Nella maggior parte di essi però era impossibile districare la componente di invenzione da quella di realtà, e presto si è capito che era inutile cercare di farlo. È l’epoca dei cosiddetti reality show e di tutti i sottogeneri di questo format, ormai centrale nei palinsesti di tutte le reti televisive: dai talent show ai cook show, dai makeover ai docu-reality, dai dating ai celebrity show. Per non parlare dell’ulteriore complicazione che hanno portato al quadro le piattaforme web di condivisione sociale di contenuti, ci riferiamo ovviamente ai social media ma anche a You Tube o Twitch. Attraverso questi canali ogni giorno vengono condivisi centinaia di milioni di messaggi che possono essere possibili informazioni o falsi clamorosi, ma questa è davvero un’altra storia….
[i] Grassetto nostro.
[ii] Anche se ora si usa di più il termine “serie”.
[iii] Con il termine share si indica la percentuale di utenti che, tra tutti quelli che in un certo momento stanno guardando la televisione o, come in questo caso, ascoltando la radio, sta seguendo un certo programma. Quindi se, per esempio, diciamo che la finale degli europei 2020 Italia-Inghilterra ha avuto uno share dell’83,5% (dato reale!), significa che tra tutte le persone che avevano una televisione accesa in quel momento, 8,35 su 10 guardavano la finale.
[iv] Un utile suggerimento datoci dagli studi narratologici e oramai generalmente accettato è quello di considerare “testo” non solo una comunicazione linguistica basata sulla scrittura ma una qualsiasi modalità di enunciazione, cioè con cui possono essere trasmessi contenuti da un emittente a un ricevente. Da questo punto di vista, anche le opere pittoriche, cinematografiche, musicali, radiofoniche e i podcast sono “testi”.